Lo spirito della creatività è nel confronto tra le menti
Steve Jobs ha ideato iMac, iTunes, iPhone, iPad e iCon, ma quello che forse non tutti sanno è che lo stesso Steve Jobs vietava ai suoi figli di utilizzare i prodotti che lo hanno portato a essere considerato “genius by design” e a cambiare radicalmente il mondo in cui viviamo.
Eppure i genitori stanno prendendo un approccio opposto a quello dell’ex CEO di Apple, spingendo i figli a imparare, fin dalla tenera età, a utilizzare tutti i dispositivi tecnologici presenti sul mercato, diventati oggi sostituti dei giochi più tradizionali con i quali sono cresciuti i bambini di tutte le generazioni passate.
Innovazione, passione e soprattutto una creatività geniale sono stati i tratti distintivi di Steve Jobs, e proprio per questo il suo metodo ha probabilmente ragione di essere creduto valido. In fondo, la creatività è un mezzo per arrivare a un fine e, ugualmente, anche la tecnologia è uno strumento che ci permette di realizzare i nostri obiettivi, e non il propulsore della creatività, come si tende erroneamente a credere.
Per dirla in parole povere, avere un iMac e saperlo usare non fa di noi un creativo. Iniziamo a sviluppare la creatività quando ci vengono messi a disposizione i mezzi giusti, quelli pensati per lo scopo preciso di farci crescere e progredire mentalmente: i giochi tradizionali.
Frank R. Wilson, celebre neurologo e scrittore specializzato nello studio dei movimenti della mano abile, durante una conferenza disse che i cervelli dei bambini non si sviluppano pienamente quando viene loro impedito di disegnare. Non è un caso, allora, che la maggior parte dei figli di personalità creative di spicco frequentino scuole sperimentali, nelle quali l’uso del computer è sostituito da pennarelli e pastelli, fogli e tutti quegli strumenti che stimolano la creatività.
«Il gioco è una continua testimonianza della capacità creativa del bambino. Il contributo degli adulti si può estrinsecare […] nell’insegnare ai bambini i giochi tradizionali, senza perciò limitarne o corromperne la capacità creativa» — D. W. Winnicott
Guardando i nostri figli giocare, riconosciamo la loro intelligenza creativa: progrediscono, acquisiscono manualità, sviluppano l’immaginazione lavorando di fantasia. E non è solo il disegno tradizionale ad aiutarli in questo sviluppo, basti pensare per esempio ai pupazzi o alle bambole, con i quali i bambini inventano storie e personaggi, mondi fantastici che non sono altro che frutto della loro creatività.
Gli psicologi si chiedono da tempo cosa sia quel qualcosa che rende diversi gli innovatori e i creativi. I ricercatori di Harvard, addirittura, hanno trascorso sei anni e hanno intervistato 3.000 dirigenti per scoprirlo e ciò ciò a cui sono arrivati, pensate un po’, è di nuovo Steve Jobs. Come egli disse quindici anni prima:
«La creatività è semplicemente connettere le cose»
La capacità della nostra mente di creare connessioni, affrontare nuove esperienze e pensare lateralmente, uscendo dagli schemi ai quali è abituata per osservare le cose da una nuova prospettiva, è un’attività soggettiva e personale, che la mente svolge in autonomia. Molto spesso, però, è qualcosa d’altro che ci permette di generare nuove idee e avere quel maggior potenziale per trasformare, creare e innovare.
Qui entra in gioco il ruolo di un’agenzia di comunicazione, un ruolo che nessun nuovo device tecnologico e nessuna banca immagine può assumere. Qui risiede lo spirito della creatività, nel confronto tra le menti che genera innovazione e genio.
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